Difesa ambiente: Il traffico d’avorio

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In tutto il continente africano vengono uccisi 35 mila elefanti l’anno, quasi cento al giorno, ad opera di bracconieri che vendono l’avorio delle zanne d’elefante.

Organizzazioni criminali internazionali, gruppi terroristici e milizie ribelli si dedicano al commercio del cosiddetto oro bianco, che frutta vari miliardi di dollari l’anno, comporta pochi rischi e garantisce altissimi profitti.

Esistono norme internazionali contro il traffico di specie protette, ma molti paesi africani coinvolti non le rispettano o non le mettono in pratica, principalmente a causa della corruzione.

L’avorio è sempre stato un prodotto ricercato, in quanto materiale raro, durevole e può essere usato per creare elaborate opere d’arte, ma oggi la domanda d’avorio arriva principalmente dai cinesi arricchiti che considerano l’avorio un simbolo di status e un buon investimento.

La Tanzania è uno dei paesi (gli altri sono Kenya e Sudafrica) dove vengono sequestrate, ad opera di guardaparco ed organismi internazionali, più tonnellate d’avorio illegale, ma purtroppo le pene sono irrisorie ed esclusivamente di tipo economico, di una deterrenza pari a O;  d’altra parte non c’è da stupirsi visto che la Tanzania risulta essere fortemente in debito con la Cina, che ha investito molto nel paese e ha in progetto di costruire il più grande porto dell’Africa orientale, insomma un po’ d’avorio diventa quasi un tributo.

Nelle valigie del milione e più di cinesi che lavorano in Africa, nel settore della costruzione di infrastrutture o nei progetti di sfruttamento delle foreste e delle miniere, viaggia l’avorio, acquistato direttamente dai bracconieri o nei mercati di Kinshasa, Luanda, Lagos, Johannesburg, Maputo, venduto impunemente sotto la luce del sole; negli aeroporti, i cani poliziotto vengono ingannati da strati di biancheria sporca in cui sono avvolti i pezzi d’avorio e sui cui viene spruzzato profumo. Le valige diplomatiche sono un altro dei mezzi usati per portare l’avorio fuori dal continente. La Cina, tuttavia, ha deciso di impegnarsi nella lotta contro il traffico di specie protette e, al riguardo, quale azione dimostrativa, ha distrutto pubblicamente sei tonnellate di avorio confiscato.

Il Botswana è il paese africano dove si registrano, relativamente agli altri, pochi casi di morti di elefanti per bracconaggio, infatti è uno dei pochi paesi ad aver destinato sufficienti risorse per contrastarlo.

I paesi nel mondo dove il bracconaggio è più attivo e dove le misure per contrastarlo sono più blande o dove la corruzione degli organismi di vigilanza è più pervasiva, sono otto: Kenya, Uganda, Tanzania, Malesia, Thailandia, Vietnam, Filippine e Cina.

Per risolvere questo problema che riguarda non solo gli elefanti, ma tutto l’ecosistema, è necessario intervenire sul lato della domanda e su quello dell’offerta.

Così come la Cina, anche gli Stati Uniti hanno recentemente dato segnali di buon senso per contrastare la domanda interna d’avorio, distruggendo sei tonnellate d’avorio nel novembre del 2013; mi auguro che non rimangano solo azioni dimostrative fini a sé stesse e utili solo a mettere a tacere le critiche degli ambientalisti.

Dal lato dell’offerta dell’avorio, sarebbe necessario finanziare l’African elephant action plan, con accesso dei paesi africani ai fondi solo ed esclusivamente in cambio di un rafforzamento della normativa antibracconaggio e chiusura del mercato d’avorio interno.

Cinzia Malaguti

Fonte: M. Fletcher, Prospect, Regno Unito – Internazionale

 

 

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